SCUOLA TIANDIHE

Arti Marziali, Musica e Meditazione

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Unione di cielo e terra




Lo Sciamano stanco

Dopo un’intera giornata passata a danzare con gli Spiriti lo sciamano torna a casa stanco, ma contento.
All’entrata della capanna lo aspetta il missionario indignato perché ogni volta che lo sciamano organizza una festa di sabato quasi nessuno degli abitanti del villaggio va poi a messa la domenica.
Facciamo un gioco! Esclama il missionario che vuol tenerlo sveglio per dispetto. Se tu non indovini mi dai un dollaro, se invece io non indovino di do dieci dollari.
Amico mio giochiamo un’altra volta, ora non ce la faccio proprio.
Beh! Allora facciamo che se tu non indovini mi dai sempre un dollaro, ma se io non indovino ti do cento dollari. Non ti puoi rifiutare! Guarda questo barattolo di vetro, quanti ceci ci sono all’interno?
Lo sciamano, con sguardo assonnato, cerca di valutare il numero dei ceci, ma poi automaticamente estrae un dollaro dalla sua tasca sinistra.
Bene! Esclama il missionario afferrando il dollaro. Ora tocca a te.
Che animale è quello che cambia di colore quando si arrabbia, ma non è una scimmia e neppure una rana?
Il missionario, che è appassionato di zoologia, ha la risposta sulla punta della lingua, ma proprio non gli viene.
Arrivo subito. E corre in canonica per collegarsi ad internet con l’antenna satellitare. Giunge l’alba che il missionario è ancora alla ricerca appassionata della soluzione, fa suonare la campana per la messa e corre alla capanna dello sciamano.
Ecco qua i tuoi cento dollari!
Lo sciamano si risveglia dal sonno profondo, afferra il denaro e si riaddormenta all’istante.
Ehi! Ma allora che animale è?
Automaticamente lo sciamano estrae un dollaro dalla sua tasca sinistra.
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Un Grande Amico



Il Palo Shaolin sembra una scemenza, eppure quanti amici ci sono rimasti male scoprendo che, nonostante anni di pratica, non riuscivano neppure a spostarlo con un semplice calcio frontale o laterale. Il fatto è che muovendosi lentamente e con carico come questo vengono a galla tutte le magagne della struttura. E' così che scopri quanto pochi angoli di rotazione di un piede o l'espansione del Ming Men all'indietro fanno la differenza. E pensare che a vedere la ripresa sembra così semplice: è un inganno dei video, chi lo ha provato lo sa 1f642
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La Bambola Viaggiatrice di Kafka


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E’ un aneddoto talmente bello che non sembra vero, ma Dora Diamant, la compagna di Kafka, testimonia che veramente egli scrisse una lettera al giorno per la bambina, per tre settimane.

“Un anno prima della sua morte, Franz Kafka visse un’esperienza insolita. Passeggiando per il parco Steglitz a Berlino incontrò una bambina, Elsi, che piangeva sconsolata: aveva perduto la sua bambola preferita, Brigida. Kafka si offrì di aiutarla a cercarla e le diede appuntamento per il giorno seguente nello stesso posto.  Incapace di trovare la bambola scrisse una lettera – da parte della bambola – e la portò con se quando si rincontrarono. “Per favore non piangere, sono partita in viaggio per vedere il mondo, ti riscriverò raccontandoti le mie avventure…”, così cominciava la lettera.  Quando lui e la bambina si incontrarono egli le lesse questa lettera attentamente descrittiva di avventure immaginarie della bambola amata. La bimba ne fu consolata e quando i loro incontri arrivarono alla fine Kafka le regalò una bambola. Era ovviamente diversa dalla bambola perduta, e in un biglietto accluso spiegò: “i miei viaggi mi hanno cambiata”.  Molti anni più avanti la ragazza cresciuta trovò un biglietto nascosto dentro la sua bambola ricevuta in dono. Riassumendolo diceva: ogni cosa che tu ami è molto probabile che tu la perderai, però alla fine l’amore muterà in una forma diversa“.

Tratto da “Kafka e la bambola viaggiatrice” di Jordi Sierra i Fabra

Era il 1924, Kafka sarebbe morto quell’anno stesso.

Una storia che fa riflettere sul potere dell’arte e della comunicazione. In ambito psicoterapico qualcosa di simile lo troviamo ne “L’Uomo di Febbraio” di Milton H. Erickson.
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Il film Arrival

Con i miei due figli adolescenti, sono andato a vedere Arrival, il Film basato sul racconto “Storia della tua vita” del cinese americano Ted Chiang.
 Non voglio certo raccontare il Film, spoilerare come dicono i giovani, ma parlare delle sue tre idee forti.
 La prima idea forte è che la realtà che percepiamo è fortemente determinata dal linguaggio che usiamo per rappresentarla. E’ cosa risaputa da più di un secolo dagli antropologi che lavorano “sul campo”. Conoscere la lingua di una popolazione tradizionale e vivere per anni con loro può portare a vedere, toccare e credere, cose che altrimenti non si sarebbero mai viste, toccate o vissute come reali. Sono gli antropologi “innamorati”, così tanto derisi e osteggiati dai loro colleghi accademici.
 La seconda idea forte è il concetto di linguaggio rettilineo e linguaggio circolare. E quindi anche di realtà rettilinea e realtà circolare. Quando arrivarono gli alieni inglesi nel territorio australiano incontrarono una cultura tradizionale, quella aborigena, basata sul tempo circolare e sul sogno. Gli aborigeni furono sopraffatti dalla superiorità tecnologica degli invasori e dal loro pensiero rettilineo. In questo film si invertono i fattori: i detentori della superiorità tecnologica sono gli alieni, che però comunicano con un linguaggio circolare. E la cosa si fa molto interessante.
 La terza idea forte è nella dicotomia sintetizzata dai due protagonisti: uno scienziato ed una linguista. La matematica potrebbe porsi come linguaggio super partes, come linguaggio oggettivo e universale. Ossatura della scienza e predittiva della realtà, un vero e proprio linguaggio di Dio. Ma ahimè in questo film si rivela solo un dialetto con la sua realtà limitante, al pari di qualsiasi altro linguaggio. Come dice un collega matematico ad uno dei protagonisti “loro non usano l’algebra! Saranno invece le strutture base ed elementari del linguaggio a permettere la comunicazione con un’altra realtà.
 Un film lento, pacato. Ricordo che molti degli spettatori, sopratutto fra i più giovani, si sono alzati palesemente insoddisfatti. Forse si aspettavano qualcosa di simile agli Avengers. I miei figli invece hanno affermato: il film più bello che abbiamo visto! Non l’ho dato a vedere, ma mi sono quasi commosso: nel loro mondo di di rumore, di continui stimoli e sovrabbondanza di informazioni il silenzio può ancora fare una breccia.
 Prima di andare a letto mia figlia ha detto: “dobbiamo scrivere qualcosa su questo film.”
 Ecco, l’ho fatto.
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In una canzone si compone prima la musica o le parole?

Brian Eno nel suo “Futuri Impensabili”, edito dalla Giunti, fa molti esempi del processo creativo nella creazione di una song, sia in prima persona che nelle sue collaborazioni con David Bowie, Bono Vox ed altri. Un testo prezioso e sempre di grande stimolo.
Personalmente sono iscritto alla Siae sia come compositore che come autore dei testi ed ho all’attivo un centinaio di canzoni, composte nell’arco di una quarantina d’anni.
Risponderei alla domanda dicendo che vi sono tre possibilità:
Il testo viene prima della musica Come capita nella composizione di musica su testo in latino come i Kyrie, i Requiem. In generale in tutta la musica sacra e non solo quella occidentale. Come nel caso di testi poetici importanti in cui la musica segue e si mette al servizio della metrica e della sonorità insita nelle parole.
Solo come esempio linko una composizione di mia figlia sul celebre sonetto di Dante Alighieri.

Non ha composto il tema dal nulla, ma si è ispirata a due canzoni medioevali, un Vireali di Machaut e una delle Cantiga de Santa Maria, ed ha poi cercato di variarle per adattarle al testo. Come diceva Umberto Eco “il processo creativo ha il suo fondamento nelle Variazioni sul Tema”. Si possono fare così tante variazioni che infine il risultato finale è qualcosa di completamente nuovo, una tipica procedura di composizione, non solo in musica.
La musica viene prima del testo Quando si è liberi dal vincolo della parola la musica può precedere il testo. Molto comune fra i cantautori, non solo italiani, è avere prima una ispirazione melodica con il suo infinito di emozioni, di colori, di sensazioni e solo successivamente, trattandosi della forma canzone, il tutto viene vestito con le parole. A volte l’abito è all’altezza, altre volte no.
Un esempio fra tanti, rimanendo nella musica italiana, è la celebre associazione Musica-Parole Battisti-Mogol. Una collaborazione particolarmente felice.
Nell’ambiente si dice che gli italiani sono grandi compositori di melodie, mentre sono carenti i buoni autori di testo.
Un buon consiglio per trovare un bel testo è quello di scoprirlo all’interno della melodia, come faceva Michelangelo quando vedeva già la scultura finita all’interno della pietra grezza che sceglieva a Carrara. Ma questo i grandi parolieri lo sanno già.
Musica e parole vengono insieme Quando il risultato non è solo una banale variazione, di qualcosa di già trito e ritrito, ma qualcosa di fresco e nuovo, che sorprende lo stesso autore, ecco che musica e parole arrivano insieme, nello stesso momento.
La sensazione che si ha è di non essere gli autori, perchè non è qualcosa che accade con lo sforzo, ma testimoni. Sembra più una rivelazione o meglio, come dicevano gli antichi, una possessione: le Muse entrano in noi, si esprimono e ci muovono.
Nella storia della musica moderna le sostanze stupefacenti hanno avuto un ruolo importante nel favorire questa condizione, ma non sono certo una garanzia per ottenere buona musica. Una canzone banale rimane banale anche se nel momento allucinato del concepimento l’autore l’ha vista come il più bello degli scarrafoni.
Conclusione: queste tre possibilità sono un poco una forzatura, in realtà vi sono vie di mezzo e varianti, ma senza dubbio, anche nella produzione di un grande artista, la vera ispirazione raramente raggiunge il dieci per cento. Tutto il resto è mestiere.
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La Musica è stata una invenzione o una scoperta?

Probabilmente la musica non è né una scoperta né una invenzione, ma una necessità.
Una necessità intrinseca della natura umana.
Anzi gli studi più recenti pongono la musica all’origine della cultura stessa e quindi all’origine del linguaggio.
Già da tempo si sa che le lingue più antiche sono lingue tonali. Un esempio tipico di lingua tonale è il cinese nel quale le singole sillabe assumono diverso significato a seconda di come vengono “intonate”. Semplificando si può affermare che le lingue tonali sono lingue cantate. La maggior diffusione e varietà di lingue tonali si ha nell’Africa subsahariana. Popolazioni come i Boscimani, fra le più “antiche” dal punto di vista genetico, parlano naturalmente una lingua tonale (e con i click) estremamente complessa.
Victor Grauer, musicologo e genetista, sostiene (2011) che la ICM, l’Ipotetica Cultura Migrante che, partendo dall’Africa, conquistò in qualche decina di migliaia di anni tutto il mondo, doveva parlare una lingua simile a quella dei Boscimani. Una sorta di lingua originale da cui, per semplificazione e deriva, si sarebbero sviluppati poi tutti gli altri linguaggi.
Il Neuroscienziato Björn Merker nella sua ricerca si è spinto ben oltre, mettendo in relazione i vocalizzi di certi primati con la nascita della musica. In Particolare ha scoperto dei richiami perfettamente sincronizzati, soprattutto fra i bonobo, emessi con una precisa alternanza. Sembrano corrispondere allo stile di canto medievale denominato Hoquetus, una struttura di canto molto simile a quella di Pigmei e Boscimani.
“Se questa ipotesi è vera, avremmo scoperto che la musica per gli esseri umani ha un’evidente origine biologica” B. Merker (2000)
Successivamente un’altra ricercatrice, Ellen Dissanayake, ha poi messo in relazione queste peculiarità musicali dei primati con il rapporto madre-figlio:
“Credo che questa forma di corrispondenza che si sviluppa tra madre e figlio possa essere all’origine della musica umana.” E. Dissanayake (2008)
Attualmente vi è un interessantissimo dibattito fra linguisti, musicologi, esperti di genetica delle popolazioni e neurologi. In particolare la genetica ha portato un vento fresco in quelli che erano i vecchi punti fermi di linguisti e musicologi ed ha stimolato nuove domande.
Personalmente, come musicista, trovo affascinante la possibilità che la musica non sia un banale prodotto ricreativo delle varie culture, ma che sia invece all’origine della cultura stessa.
Bibliografia e fonti
Victor Grauer. Musica dal profondo. Viaggio all’origine della storia e della cultura. Codice Edizioni (2015). Un saggio fondamentale sull’argomento, forse unico nel suo genere, per il fatto che l’autore oltre ad essere un esperto di genetica delle popolazioni è anche un artista, un compositore e musicista che collaborò con Alan Lomax.
Merker, B. (2000) Synchronous Chorusing and Human Origins
Dissanayake, E. (2008) If Music is the Food of Love, What about Survival and Reproductive Success?, in “Musicae Scientie”, numero speciale, pp. 169-195
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Il Missionario e lo Sciamano



Lo sciamano, per ampliare il suo parco clienti, declama che curerà qualsiasi malattia con un compenso di soli tre polli, o di cento dollari per gli stranieri. In caso di insuccesso contraccambierà concedendo al malato una notte d’amore con la sua bellissima figlia.
In breve anche dai villaggi vicini si riversano fiumi di persone per riceverne, in un modo o nell’altro, le prestazioni.
Il missionario decide di cogliere l’occasione per smascherare il cialtrone, inventandosi malattie incurabili, e con il segreto ardore di passare una notte d’amore con la bellissima creatura.
Sono distrutto, è più di una settimana che non sento più alcun sapore, mi è completamente sparito in senso del gusto e non riesco a cibarmi.
Nessun problema caro amico! Esclama lo sciamano. Ho la cura per te. Così dicendo manda la figlia a prendere una particolare ampolla rossa e ne versa il contenuto sulla lingua del missionario.
Ma che schifo è amarissima!
Vedi hai riacquistato il senso del gusto. Cento dollari.
Il missionario paga e medita vendetta per essere stato così gabbato.
Il giorno dopo si ripresenta dallo sciamano.
Mi è successa una cosa terribile, ho perso la memoria!
Nessun problema caro amico! Esclama lo sciamano. Ho la cura per te. Così dicendo manda la figlia a prendere l’ ampolla rossa.
Ma è la stessa di ieri! Esclama il missionario che ha ancora l’amaro in bocca.
Vedi hai riacquistato la memoria. Cento dollari.
Furente il missionario paga la parcella ed il giorno successivo torna più determinato che mai.
E’ un dramma, dopo uno strano sogno questa notte ho perso completamente la vista, non so proprio come fare.
Caro amico, questa volta non posso proprio aiutarti! Ecco che arriva mia figlia per la notte d’amore che ti spetta.
Ma quella è una brutta vecchia! Esclama il missionario indicando un’anziana signora sul ciglio della porta.
Vedi hai riacquistato la vista, cento dollari.
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Cose interessanti sul cervello umano

Al momento cose interessanti, dal punto di vista neurologico, sono che le componenti responsabili della coscienza risiedono in piccole aree del cervello in cui non ci si aspettava di trovarle. La parti frontali del cervello, quelle di cui si pensava fossero fondamentali per la funzione cognitiva possono in realtà essere scisse, come nel caso dell’asportazione di un tumore, senza produrre un grosso impatto sull’esperienza cosciente. Pazienti che hanno subito questo tipo di intervento passano per persone “normali” anche se spesso mostrano comportamenti infantili, mancanza di inibizioni e bisogno di fare battute. Al contrario le aree del cervello fondamentali per la coscienza sembrano concentrate in una ristretta zona nella parte posteriore della neocorteccia. La stimolazione elettrica di queste aree impedisce per esempio il riconoscimento dei volti, anche famigliari, o induce la percezione di volti immaginari.
Questo per quanto riguarda le recenti scoperte. Interessante anche la teoria dei “tre cervelli” proposta da Paul McLean negli anni cinquanta e oramai ampiamente confermata.
Una efficace esposizione sullo stato dell’arte delle nostre conoscenze sul cervello e sulle componenti responsabili della coscienza si trovano in: The Neural Correlates of Consciousness: Progress and Problems. Koch Christof. Sempre dello stesso autore l’articolo su Le Scienze: L’Impronta della coscienza, Giugno 2017.
Dante Basili
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Da dove nascono le teorie del complotto?

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Nascono dalla tendenza umana a cercare un senso ed un significato, a cercare relazioni ed interrelazioni in quello che sembra essere solo una poltiglia informe di percezioni che giungono al cervello. In ultima analisi dal bisogno di “creare realtà”.
E’ un errore grossolano pensare che il complottista sia uno sciocco, un credulone disinformato o un babbeo, psicologicamente labile e facilmente manipolabile.
I complottisti siamo tutti noi.
Il senso di gratificazione e di profonda realtà che prova il matematico quando, unendo i vari puntini, giunge ad una più vasta teoria è la stessa gratificazione che prova il complottista quando trova un significato a tutte le anomalie che confermano le sue idee.
Una volta ottenuta con così tanta fatica, questa “realtà” diventa un riferimento abituale, un vestito che si continuerà ad indossare anche se diventa logoro o troppo stretto.
Altro errore grossolano è il credere che il complottismo sia un frutto di Internet e dell’attuale era della disinformazione. E’ un fenomeno che probabilmente ha origine nella cosiddetta paranoia preventiva, presente nelle popolazioni che vivono ancora come cacciatori raccoglitori.
“Siamo geneticamente predisposti ad un pensiero più o meno paranoico di fronte a situazioni disordinate o inspiegabili, ed è probabilmente un tratto selezionato dalla nostra evoluzione per farci sopravvivere in un mondo pieno di incertezze.” (Silvia Bencivelli)
Un atteggiamento atavico di ben lunga precedente il povero Nerone, accusato ingiustamente di aver provocato l’incendio di Roma.
“A pensar male si fa peccato, ma ci si prende sempre!” Diceva il senatore Andreotti.
Se da una parte questa tendenza è stimolo alla curiosità ed all’osservazione di relazioni e particolari, dall’altra può diventare ristagno o chiusura nella “propria realtà”, con il rischio di trasformarsi in ricerca del capro espiatorio.
Un meccanismo antico con cui fare i conti e da affrontare con molta umiltà, visto che nessuno ne è completamente immune, men che meno quelli che pensano che i complottisti siano tutti degli sciocchi. E con tanta, tanta autoironia.
Saggio esaustivo sull’argomento è quello di Rob Brotherton, psicologo della Columbia University: Menti Sospettose, perché siamo tutti complottisti. Bollati Boringhieri 2017
Oramai datato, ma comunque fondamentale e ricco di stimoli: Paul Watzalawick, La Realtà della Realtà. Astrolabio Ubaldini 1976
Sulla paranoia preventiva delle culture tradizionali: Jared Diamond, Il Mondo fino a ieri, cosa possiamo imparare dalle società tradizionali? Einaudi 2012
La citazione di Silvia Bencivelli è tratta da “Il lato umano del complottista” Le Scienze, aprile 2017 pag. 94
Dante Basili

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